Coronavirus, Ciaramella (Pd): “Per produrre mascherine in Italia, serve un’autostrada per le certificazioni”

Coronavirus, Ciaramella (Pd): “Per produrre mascherine in Italia, serve un’autostrada per le certificazioni”

«Ancora oggi alla ribalta delle cronache la vicenda delle mascherine: se persiste questa fase di stallo, il problema non può che peggiorare e avvitarsi su sé stesso, visto che anche nell’auspicata prossima ‘fase 2’ ci sarà la necessità di dover utilizzare dispositivi di protezione nella vita quotidiana, con l’aggravante che all’aumentare della libertà di circolazione e soprattutto la graduale riapertura dei luoghi di lavoro, ne aumenterà anche il bisogno. Si è già appurato che il ritardo nella  pianificazione negli approvvigionamenti la stiamo pagando a caro prezzo».

 

Così in una nota stampa la consigliera regionale del Partito Democratico Antonella Ciaramella interviene per fare il punto sull’utilizzo delle mascherine.

 

«Ma se sbagliare è umano, perseverare é diabolico. Cosa aspettiamo a invertire la tendenza? La soluzione è a portata di mano: raggiungere l’autosufficienza. Per farlo basterà sbloccare l’iter di certificazione in particolare dei dispositivi si protezione individuale (DPI) le FFP2 e FFP3 e agire sul mercato delle materie prime – spiega -. Basti pensare che solo in Campania migliaia sono le aziende pronte alla riconversione che e che ci contattano per chiedere supporto per la fase di test o che hanno superato questa fase e sono finite nel collo di bottiglia della certificazione presso l’Istituto Superiore della Sanità (ISS). Ancor più una chimera sembra la produzione di mascherine FFP2 e FFP3. I produttori di mascherine hanno difficoltà a verificare propedeuticamente i loro prototipi e poi a certificarli presso INAIL (mascherine di protezione DPI) in quanto, da un lato non esiste un laboratorio che ad oggi possa farlo in Italia e dall’altro non è prevista alcuna deroga come invece per le mascherine di uso chirurgico. A questo si aggiunge la guerra commerciale ad accaparrarsi la materia prima».

 

«Dunque sono tre le cose da fare in maniera prioritaria: definire con INAIL una procedura alternativa in deroga semplificata, pubblicando linee guida certe e accessibili contenenti standard e materiali utilizzabili con relativi test di verifica da fare ed elenco della documentazione idonea da presentare per ogni DPI. Attrezzare, in via diretta o indiretta, per ogni Regione richiedente almeno un laboratorio qualificato dall’IINAIL per la realizzazione di test preliminari alla certificazione, per fare le prove di certificazione per la messa in commercio e per il controllo post produzione, basterebbe un investimento da 250mila euro. Due settimane fa il macchinario necessario per le prove era reperibile in 7 giorni ora ci vogliono 3 mesi e la situazione si aggrava al passare dei giorni. Infine adottare un piano nazionale per le materie prime strategiche, incaricando il Ministero degli esteri di reperirle, e non solo prodotti finiti, nonché incentivando e promuovendo l’intera filiera della produzione partendo dalla ricerca di nuovi materiali alternativi ed ecosostenibili, all’acquisto di banchi prove e infine la produzione. Il fatto che nei Bandi Invitalia sia prevista solo questa ultima fase li rende di fatto non efficaci per l’obiettivo che si pongono e non appetibili per le aziende».

 

«Sia alle aziende che ai cittadini risulta incomprensibile il prolungarsi dello shopping all’estero portando liquidità fuori anziché nel mercato interno, con oltretutto tempi di consegna e qualità dei prodotti spesso inaccettabili e incontrollabili, senza che si veda all’orizzonte una strategia alternativa» ricorda la consigliera regionale.

 

«Il contagio si ferma proteggendosi con dispositivi idonei. La speculazione si ferma solo aumentando l’offerta che deve essere interna, pena la scomparsa di migliaia di aziende italiane che hanno già convertito le loro produzioni. Infine  – conclude l’esponente Pd – più passa il tempo più diventerà impossibile reperire l’enorme quantità necessaria di mascherine in tempi compatibili per la salute pubblica. E per la fase 2, che significherà proteggere tutti i lavoratori, dobbiamo arrivarci pronti».


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