Sacrum Festival L’Aquila-Roma 4-5 novembre 2023
Un messaggio, forte, per la Pace nel mondo, verrà levato nella due giorni del Sacrum Festival, un doppio concerto che si svolgerà sabato 4 alle ore 20 e domenica 5 novembre a L’Aquila, in San Silvestro e a Roma, alle 18,30, nell’incanto in Santa Maria in Ara Coeli. Una edizione questa ottava ad memoriam del Cardinale Domenico Bartolucci, compositore e Maestro Direttore Perpetuo della Cappella Musicale Pontificia”Sistina”, nel decennale della sua scomparsa, con un programma intimo, che prevede l’esecuzione del Requiem op.48 per soli, organo e orchestra, di Gabriel Faurè e lo Stabat Mater di Domenico Bartolucci. Sul podio alla testa della Sinfonica Abruzzese e dell’International Opera Choir, preparato da Giovanni Mirabile, con solisti il soprano Donata D’Annunzio Lombardi, il baritono Armando Likaj e, ancora, il soprano, Maria Tomassi, il Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli, direttore artistico del Festival e direttore musicale dell’ISA.
“Sono davvero felice di risalire sul podio di Sacrum – ha dichiarato il Maestro Jacopo Sipari – giunto, oramai, alla sua VIII edizione, sotto i riflettori di un pubblico esigente, di prestigiose istituzioni e in una cornice di stordente bellezza quale è l’Ara Coeli. Un anno particolare questo celebrativo del decennale della scomparsa del Cardinale Domenico Bartolucci, che ci avvia verso l’anno giubilare, che coinciderà anche con la decima edizione di Sacrum e che abbiamo preparato con l’Orchestra dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese, formazione in continua crescita,grazie anche alla fiducia del Direttore artistico Ettore Pellegrino, con la quale saremo nel 2025, in Sala Nervi per l’esecuzione del Requiem di Verdi e con solisti del calibro di Donata D’Annunzio Lombardi, Armando Likai e Maria Tomassi. Il programma di quest’anno vede l’esecuzione del Requiem di Gabriel Faurè e dello Stabat Mater di Domenico Bartolucci, due opere praticamente a specchio di un ateo e di ardente credente che si ritrovano nelle intenzioni musicali di una scrittura semplice, rigorosa, senza orpelli, ai piedi della Croce di un Dio generoso, descritto, in entrambi i casi, con una malinconia composta, intimamente romantica, una chiarezza espressiva sorretta da un’armonia lieve, personale, come sottile, spesso evanescente, su di una linea spesso modale”.
Un sottile crinale sospeso nello spazio, una sorta di reticolo annodato nel vuoto, questo il solo vero “umano”, consentito agli uomini. E’ questo il Gabriel Faurè, maestro di Cappella e organista, ma affatto credente, che ritroveremo nella sua opera più importante il Requiem Op.48 per soli, organo e orchestra, prova di tutte le sue contraddizioni. Tali le ragioni estetiche: abolizione di ogni eccesso romantico, libera utilizzazione del linguaggio modale, avvicinamento frequente alla semplice salmodia affidata alla voce, mentre l’orchestra è discretamente arricchita dall’uso della polifonia. Propositi, questi, che portano a conseguenze inattese: in nessun’altra opera la sensualità di Faurè si riveste, per contrasto, di un carattere così soave e, la volontà di evitare ogni eccesso spezza l’equilibrio fra passione e grazia. nella purezza della sua linea, nella raffinata tornitura modale dell’accompagnamento, incarna alla perfezione la concezione di Fauré, fatta di tenerezza e di indicibile, quasi sovrumana dolcezza, specchio della personale concezione della morte dell’autore. Seconda parte del programma dedicata all’esecuzione dello Stabat Mater del Cardinale Domenico Bartolucci, una pagina di raro ascolto, affidata al Maestro Jacopo Sipari dal Presidente della Fondazione, che raccoglie e divulga le opere del compositore, Franco Biciocchi. “Dolorósa et lacrimábilis es, Virgo María, stans juxta Crucem Dómini Jesu Fílii tui Redemptóris” è l’incipit del Mottetto a voci dispari – utilizzato dalla chiesa preconciliare per celebrare non una festa, quanto il giorno commemorativo dei dolori della beata Vergine – composto, nel 2001, quale introduzione al successivo Stabat Mater, dal Cardinale Domenico Bartolucci, compianto Maestro Direttore della Cappella Musicale Pontificia, la “Cappella Sistina”, iniziato alla musica da Francesco Bagnoli, Maestro di cappella del duomo di Firenze, quindi a Roma per maturare una più profonda conoscenza della musica sacra, grazie al contatto con la pratica delle allora fiorenti cappelle musicali, ospite presso l’Almo Collegio Capranica, per studiare con Raffaele Casimiri, studioso palestriniano, e perfezionarsi con Ildebrando Pizzetti e Licinio Refice, indi affiancato a Lavinio Virgili quale vice direttore della Cappella di San Giovanni in Laterano, maestro della Cappella liberiana di Santa Maria Maggiore, docente di composizione e direzione polifonica proprio al Pontificio Istituto di Musica Sacra, quindi successore di Lorenzo Perosi quale direttore perpetuo della Cappella Sistina. La devozione speciale ai dolori della Vergine, corredentrice del genere umano, era da molti secoli già nell’animo del popolo cristiano. Il preambolo alla Sequenza “descrive” la scena entro la quale il popolo, costituito dal coro, osserva e “commenta” la causa dei dolori della Vergine. Flussione, fluttuazione che sembra voler affondare il pathos in una interiore emotività che fa vivere quei sentimenti in quella cultura, antichissima, che da Saffo arriva fino a noi. L’intera sequenza si svolge in vari e significativi quadri, che il testo suggerisce, ora coralmente, ora solisticamente, ora con intervento orchestrale in un susseguirsi di episodi così statuariamente scolpiti nel pentagramma dal “Vidit Jesum”, alla interiore contemplazione dell’ “Eia mater”, sino all’ardore spirituale dell’ “O quam tristis”, “Sancta Mater”, “Fac me plagis”, “Flammis ne urar succensus”. Niente segni di forte, che sfiora solo i versetti “Vidit Jesum”, “Sancta Mater” e “Fac me plagis”, ma creazione di climax, anticipazioni nei confronti del discorso vocale con gli strumenti utilizzati nei loro registri non “usuali”, che divengono generatori di ombra, fino all’esplosione in fortissimo nel “Paradisi gloria” col grande fugato finale. Il gioco di specchi condotto sull’asse diacronico della storia e su quello sincronico del linguaggio, è creato per spiazzare l’ascoltatore, che percepisce insieme il profilo primitivo e la sua drammatica lacerazione. Non fa concessioni né sconti, questa partitura densissima, che scorre lenta, tesa, scura e oscura, intima e severa anche nel clangore luminoso del fortissimo finale. Il senso ultimo dell’intera, magistrale pagina del Cardinale Bartolucci è infatti la distillazione sonora del dolore. Un dolore assoluto, totale, còlto nella sua manifestazione più acerba: la sofferenza di una madre (di ogni madre, di tutte le madri) di fronte alla morte del proprio figlio. La composizione è strumento per raccontare, con pudore e quasi con distacco, l’universalità di quel dolore, la sua radice indeclinabile, la sua natura metastorica, su quella sequenza che abbaglia, spirante ed ispirante.