Asi e comunità energetiche: un binomio da promuovere
Focus sulle comunità energetiche industriali nel corso della seconda giornata del forum “Forum Nazionale Sostenibilità e Sviluppo Aree Industriali”, organizzato dalla Ficei (Federazione Italiana Consorzi Enti Industrializzazione). Tante personalità di spicco del mondo dell’impresa e delle istituzioni hanno espresso apprezzamento all’istituzioni delle cosiddette Cer.
“La sfida delle sfide è coniugare l’attività industriale alla sostenibilità ambientale. Ed è bene che anche il tessuto imprenditoriale si faccia carico di questa sfida perché al suo interno ha le maggiori capacità di innovazione. E quindi è in questo settore che bisogna attingere per mettere insieme cose che altrimenti sarebbero difficili” ha detto Lorenzo Tagliaventi, presidente della Camera di Commercio di Roma nei saluti iniziali.
“I consorzi vogliono fare la loro parte accompagnando le imprese a investire. E soprattutto nel cambio di paradigma con l’esigenza di investire nei processi di sostenibilità. Il tema dei temi è la transizione energetica. In questo senso diventa fondamentale la costituzione delle comunità energetiche. E le aree industriali sono un bacino perfetto per la costituzione di esse.” ha spiegato, invece, il presidente di Ficei Antonio Visconti. “Le Asi – sottolinea – forniscono già tutti i sottoservizi alle aziende e al suo interno hanno grandi consumatori di energia che attraverso la riconversione dei loro apparati produttivi possono diventare anche produttori di energia. Ma un’azienda da sola non ce la può fare e i consorzi devono essere in grado di fornire tutti i servizi di contorno per metterle nelle condizioni di agire. Rendere un’azienda autonoma dal punto di vista dell’approvvigionamento energetico significa renderla più competitiva sul mercato ma anche sostenibile ecologicamente”.
“Il ruolo delle camere di commercio italiane – ha spiegato Andrea Prete, presidente di Unioncamere – è fondamentale perché abbiamo il doppio obiettivo di favorire gli investimenti ma anche la transizione digitale e ambientale. Le Camere di Commercio, essendo identità molto radicate sui territori, possono e sono impegnate a spingere la creazione delle comunità energetiche. L’Italia è sempre stato un grande paese importatore d’energia e un paese fortemente dipendente dall’estero. L’indipendenza deve essere un obiettivo e non escludo il ritorno al nucleare visto che le tecnologie si evolvono e una riflessione bisognerà farla. Ma bisognerà anche investire nelle rinnovabili e le comunità energetiche potrebbero essere la strada giusta”.
Per Ermete Realacci, presidente Symbola, “la transizione energetica è una partita che non possiamo sbagliare. Basti pensare che il 40% dei nuovi posti di lavoro si fonda su competenze ambientali. Un segnale importante che dimostra il grande cambiamento in atto. Le comunità energetiche rappresentano un validissimo strumento che mette insieme comuni, istituzioni e aziende. Una cosa utilissima soprattutto nel Sud del paese. Un’occasione non solo a livello ambientale ma per stimolare un’economia a misura d’uomo”.
L’Italia è in un vicolo cieco, non ha scelta. Lo sostiene l’onorevole Michele Gubitosa, vicepresidente del Movimento 5 Stelle. “Non abbiamo scelta. Dobbiamo guidare la transizione energetica finanziando le imprese che operano nella filiera al servizio delle comunità energetiche. Il cambiamento è in atto. Mi sembra di rivivere il passaggio dalla carta al digitale. Autonomia energetica è fondamentale”.
“È evidente che ora dobbiamo avere una visione a lungo termine” afferma il viceministro all’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Vannia Gava. “Dobbiamo coniugare la sostenibilità ambientale – continua – con il rispetto degli accordi internazionali che abbiamo stretto come quello sulle emissioni 0 entro il 2050 ma abbiamo anche un’economia da tenere in piedi. Ci dobbiamo affidare alla tecnologia perché abbiamo necessità di tutte quelle innovazioni, di tutti quegli sviluppi tecnologici per poterli mettere a terra e a frutto. Noi abbiamo una classe imprenditoriale straordinaria. Noi cosa possiamo fare? Dobbiamo accompagnare questo percorso verso la transizione ecologica semplificando. Molto è stato fatto ma dobbiamo fare ancora. E non solo mettere incentivi perché se metto i soldi in un cassetto e non do le chiavi e gli strumenti per aprirlo, è evidente che non faccio nulla. Possiamo attrarre gli investimenti dall’estero ma dobbiamo semplificare e ridurre i tempi per le autorizzazioni”.
“Quindi investimenti nel campo dell’energia, come quello nell’idrogeno che è importantissimo o il decreto Transizione 5.0 dove abbiamo messo 6 miliardi per l’efficientamento delle aziende che si somma al piano Transizione 4.0 che sono altri 6 miliardi. Un totale di circa 12 miliardi per il biennio 2024/2025”, conclude il viceministro.
“Il percorso verso la transizione energetica è obbligato” sostiene l’onorevole Piero De Luca, membro della Commissione Parlamentare Politiche dell’Unione Europea. “Dobbiamo comprendere gli strumenti da mettere al servizio di questa rivoluzione. Siamo pronti a fare la nostra parte per aiutare il Governo sul tema della transizione energetica ed ecologica. Le comunità energetiche, come dimostra il caso di Buccino, sono una grande opportunità”.
Sul tema delle Zone Economiche Speciali è intervenuto il presidente Svimez Adriano Giannola. “Occorre fare chiarezza – ha affermato Giannola – per le Zes, nel mondo, è fondamentale disporre di un’area esente dalle dogane in entrata e in uscita: difficile che ciò possa valere in tutto il Mezzogiorno: il Sud diventerebbe un soggetto terzo con regole totalmente diverse da quelle europee”. Il presidente Svimez teme che l’Unione Europea non lo consenta in modo strutturale perché sarebbe una palese violazione delle regole sulla concorrenza.
“Quanto alla decontribuzione al 30% prevista per la ZES unica – osserva l’economista – ricordo che fino al primo governo Berlusconi il Sud godeva di una fiscalizzazione integrale o quasi degli oneri sociali e l’Ue ci impose di cancellarla (accordo Van Miert-Pagliarini); su questo fronte oggi abbiamo un regime transitorio del 30% sottoposto a periodici rinnovi. Quanto alla sua efficacia, i risultati della decontribuzione, non sono stati -allora ed ora- particolarmente significativi per l’occupazione e i salari sono oggi bassissimi”. In definitiva, chiamare ZES un’area indistinta a fiscalità differenziata è altra cosa da ciò che nel mondo si intende per Zone Economiche Speciali: aree a ridosso di porti, attrezzate con retroporti, interporti. Una entità territoriale ben definita attrezzata per diventare attrattiva per particolari motivi tra i quali spicca proprio quello legato all’esistenza di un porto. È il caso di Tangeri in Marocco. Puntare sulla fiscalità di vantaggio per tutto il Mezzogiorno espone al rischio di far rivivere lo spirito della vecchia politica assistenzialista”, conclude il presidente Svimez.